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10/01/10 |
Lavoro.
Roma
TUTTE
LE DONNE DELL'ALITALIA
di
Ersilia Crisci |
Chi
si ricorda dei casi di discriminazione compiuti
dalla CAI, la società subentrata ad Alitalia,
ai danni delle mamme lavoratrici, dei lavoratori
con a carico famigliari portatori di handicap
e dei lavoratori appartenenti alle categorie
protette, in aperta violazione della legge 151/2001
e della legge 104/92?
Le dirette interessate, naturalmente, le protagoniste
delle proteste della scorsa primavera, che la
vivono sulla propria pelle. Per il resto, in
un Paese dalla memoria corta come il nostro,
si fa in fretta a dimenticare. Soprattutto se
la stampa non ne parla. Eppure, le conseguenze
della cessione della nostra compagnia aerea
di bandiera interessano decine e decine di famiglie
di lavoratrici e lavoratori.
E’ così che un paio di settimane
fa, dopo una mail ricevuta in redazione a firma
di un “Comitato Donne di Volo” nella
quale veniva denunciato il silenzio stampa su
un’ulteriore violazione di diritti commessa
dalla Cai, ancora un volta specificatamente
dirette e subite da lavoratrici, abbiamo deciso
di approfondire la vicenda.
Ecco il risultato della nostra inchiesta, raccontata
attraverso una collezione di istantanee. |
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Il
Comitato Donne di Volo
A seguito
della mail ricevuta dalla redazione ho incontrato
il Comitato Donne di Volo, rappresentato da Cornelia
Laske e da Fiammetta Bellini.
Sedute davanti ad una tazza di caffè, in un
bar al secondo piano della stazione Termini di Roma,
tra annunci di ritardi dei treni e comunicazioni di
servizio, Cornelia e Fiammetta mi hanno raccontato
la loro storia, all’inizio con grande diffidenza:
la nostra denuncia, dicono, rimane inascoltata.
Cosa volete denunciare?, domando.
La storia di Cornelia
Cornelia Laske, presidentessa del Comitato Donne di
Volo, fondato con Fiammetta Bellini e Marina Bulsinetti,
venticinque aderenti, ha 53 anni, non ha figli, e
da un anno è in cassa integrazione. Le sue
prospettive per il futuro, mi dirà più
tardi, sono altri due anni di cassa integrazione e
il prepensionamento obbligatorio a 55.
“Quello che vogliamo denunciare”, dice,
“è che è in atto una discriminazione
sul lavoro per motivi di genere verso il personale
femminile di volo, dai 48 anni in su, da parte dell’ex
Alitalia. Le donne in questione sono ancora dipendenti
Alitalia, messe in cassa integrazione dall’azienda
prima che essa fosse acquisita dalla CAI.
Le assistenti di volo di questa fascia di età
vengono indotte al prepensionamento a 55 anni, trasformando
di fatto il diritto di opzione, la libera possibilità
di scelta della donna lavoratrice se andare o meno
in pensione prima dei 60 anni, in un obbligo, disattendendo
ed abusando in questo modo della normativa vigente,
la legge 243/07, art. 4, e il d.lgs. 198 dell’11
aprile 2006, art. 30”.
Il prepensionamento, spiega Laske, è un atto
volontario, ma conseguente a delle pressioni interne
non ufficiali, che starebbero diffondendo un clima
di preoccupazione tra le dipendenti cassa integrate
dell’ex Alitalia. Sembra che non vi siano né
alternative né tutele per quante scelgano di
non pensionarsi in anticipo. “Magari ci licenziassero.
Almeno saremmo in presenza di un atto impugnabile”.
“Io ho 53 anni” continua a raccontare,
“da un anno sono cassa integrata e tra due cercheranno
di costringermi a prepensionarmi. Lavoro in Alitalia
dal 1985, ma non potrò maturare i contribuiti
necessari alla pensione, come tutte le donne che hanno
lavorato part-time o che sono state in aspettativa
per maternità. Norme come la legge 151 o la
104 sono recenti, prima non esisteva il congedo parentale,
quando ci si metteva in aspettativa per maternità
o per malattia del figlio i contributi venivano sospesi.
Nel Comitato ci sono due donne che hanno appena compiuto
55 anni, e non sappiamo cosa le attenderà se
non si adegueranno a queste pressioni. Voci di corridoio
affermano che se non ci si prepensiona, l’Inps
interrompe l’erogazione del pagamento e non
si riceve più né la cassa integrazione
né la pensione, e questo è anticostituzionale”.
La denuncia del Comitato donne di Volo
“Le donne nate dal 1960 in poi, ossia che hanno
dai 48 anni in su, sono state messe in cassa integrazione
per quattro anni e verranno messe poi in mobilità
per altri tre. Al raggiungimento del cinquantacinquesimo
anno di età saranno indotte ad andare in pensione,
senza alcuna possibilità di scelta ed a prescindere
dal conseguimento o meno dei contributi ai fini pensionistici.
Non è invece così per i nostri colleghi
maschi”.
L’accusa del Comitato di discriminazione sul
lavoro per motivi di genere, infatti, risiederebbe
nel fatto che a parità di età, di inquadramento,
di livello e di stipendio la maggior parte degli uomini
sarebbero stati assunti da CAI ed adesso lavorerebbero
regolarmente, mentre a quelli in cassa integrazione
sarebbe consentito di andare in pensione a sessant’anni,
a differenza di quanto avviene per le donne.
“E’ questo che noi chiediamo, di essere
trattate come gli uomini, e ci siamo rivolte ai sindacati,
alle Consigliere di Parità, ad avvocati, ai
giornali.”.
La testimonianza di Fiammetta
Fiammetta Bellini ha ricevuto la comunicazione di
cassa integrazione a 47 anni perché giudicata
“troppo vecchia”.
“Il mio è un caso limite”, racconta,
“sono rientrata in questa situazione anche se
non avevo ancora compiuto 48 anni, per estensione.
Mio marito, invece, che ha il mio stesso inquadramento,
a 53 anni è stato assunto e adesso lavora per
la CAI. A me è toccato sentirmi dire da Alitalia,
perché è questo il succo della questione,
che a 47 anni sono troppo vecchia per lavorare con
loro. A dicembre scorso (del 2008, n.d.r.) ho ricevuto
la comunicazione di essere stata cassa integrata attraverso
una impersonale e-mail, e poco dopo ne ho ricevuta
un’altra contenente gli auguri di Natale aziendali”.
I principi ispiratori dei criteri di riassunzione
del personale Alitalia da parte di CAI, quindi, sembrerebbero
dare il bentornato alla ormai obsoleta (almeno in
teoria) divisione del lavoro maschile e femminile
di impostazione taylor-fordista del male breadwinner,
che vede l’uomo che lavora e guadagna per portare
il pane a casa e la donna invece occupata nella cura
del focolare e della famiglia.
Ancora, Bellini ipotizza che “la Boston Consulting,
la società che si è occupata per Alitalia
di selezionare il personale da cassa integrare, in
un elenco di dipendenti nati dal 1960 in poi abbia
tracciato una riga sui nomi delle donne saltando quelli
degli uomini: una nostra collega, straniera, ha un
nome che in italiano è maschile, ed è
stata l’unica assunta dalla CAI. È quanto
meno una strana coincidenza”.
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MATERIALI
Gazzetta
Ufficiale,
l’Italia è condannata alle spese
Sito
Ambiente Diritto,
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della Regione Lazio, download testo integrale
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